Padre Dario con tre miliziani nel giardino della sua casa.
Il primo a sinistra ha in mano la prima bomba caduta nella sede regionale ma, fortunatamente, non esplosa
I segni della mitragliatrice e delle bombe sulle pareti e sul tetto della missione
“I miei confratelli mi hanno eletto a ottobre” – racconta senza darsi arie – “mi sono così trasferito a Abidjan. Questo incarico, che durerà 3 anni, mi permette di girare parecchio nei vari stati dell’Africa occidentale ”. Potremmo così dire che è cominciato il “terzo atto” della storia di Padre Dario in Costa d’Avorio. Il primo “capitolo” risale infatti agli anni ’80 quando, appena ordinato sacerdote, venne inviato nel nord del Paese in quella che lui stesso definisce “l’Africa rurale”, con tutto il fascino delle tradizioni tribali e della natura incontaminata presentata nei documentari dal taglio antropologico-naturalistico. Poi un periodo come formatore in Italia a cui è seguito il ritorno in quella che ormai è la sua patria adottiva. Fa parte della “seconda parentesi ivoriana”, per esempio, l’esperienza presso il villaggio di San Pedro dove, con l’aiuto dei cittadini e dell’amministrazione comunale briviese ha creato una cooperativa di pescatori. “Una Barca per non partire”: questo il nome del progetto realizzato grazie al sostegno degli amici italiani, un progetto che, conferma, ha davvero permesso a dei ragazzi di costruirsi un futuro in quella che definisce, tutto sommato, come una terra potenzialmente ricca, rovinata però dalla politica. E padre Dario la storia di quel rettangolo di continente africano affacciato sul Golfo di Guinea, la conosce bene perché in larga parte l’ha vissuta “in presa diretta”.Padre Dario con un gruppo di catechisti ai quali ha regalato, in segno di gratitudine, una bicicletta
La Costa d’Avorio ottiene infatti l’indipendenza dalla Francia nel 1960. “Fino al 1994 il potere è stato nelle mani di Felix Houphoet Boigny considerato il padre della nazione che ha governato sotto lo sguardo della Francia” – ci spiega – “Quando è morto, sono iniziati i casini”. Ed in effetti, le pagine della cronaca della nazione, parlano di un braccio di ferro per il controllo del Paese tra Henri Konan Bedie, esponente del Sud cristiano e Alassane Dramane Ouattara, rappresentante del Nord musulmano e povero. Il primo, riesce a scalzare il secondo diventando così presidente della nazione prima di essere a sua volta deposto da un colpo di stato, nel 1999, da parte del generale Guei, il quale, dopo un anno di potere si candida alle elezioni e, quando vede che sta perdendo, vuol riprendere con la forza il potere. E’ lì che entra in scena Laurent Gbagbo, professore universitario e contestatore del potere in carica, che fa scendere la gente nelle strade. Gueï scappa e Gbagbo diventa presidente: "All’inizio piaceva anche a me” – ammette il missionario della SMA – “Era un tipo populista, stava con la gente ma il potere a lungo logora”.Piccoli problemi di trasporto
Il generale si allontana infatti dalla Francia e rimanda a lungo le elezioni tanto che nel 2002 iniziano di nuovo le sommosse con Ouattara sobillatore della parte Nord del Paese. L’Onu invia così una delegazione di 6.000 caschi blu, supportati anche da 3.000 soldati francesi che vanno a creare un confine per separare in due la nazione. “Si arriva dunque al 2010 quando vengono indette le elezioni, si dice, tra le più care del mondo. Si vota il 30 ottobre” – ricorda Padre Dario – “Sono elezioni molto partecipate: l’84% della popolazione si reca alle urne. Tra i tanti candidati svettano sempre loro tre Gbagbo, Ouattara e Bedie”. Succede poi, che gli ultimi due, da nemici finiscono invece per allearsi con l’appoggio, dalle retrovie, della Francia. “Gbagbo, invece, si presenta come il candidato per l’indipendenza. La sua lotta prende pure dei toni razzisti: essere bianco diventa sinonimo di essere francese, nemico. Si creano così i gruppi dei “giovani patriottici” che a me ricordano tanto le milizie fasciste. A novembre, si è svolto, poi, il secondo turno delle elezioni. Gbagbo, prima della pubblicazione dei risultati si proclama già vincitore sostenendo che gli altri hanno imbrogliato”.Padre Dario a bordo dell'imbarcazione acquistata nell'ambito del progetto "Una barca per non partire"
In realtà, invece, le elezioni le ha vinte Ouattara ma “Gbagbo dice no, fa annullare i voti delle regioni del Nord e si proclama presidente. Ma anche l’altro viene nominato presidente con il sostegno dell’Onu, dell’America e dell’Unione Africana. Nel Paese ci sono quindi due governi e si continua così per tutto dicembre, gennaio e febbraio. A marzo si entra nella fase finale della guerra con l’esercito del Nord che occupa il Paese quasi senza colpo ferire. Ad aprile si combatte invece la battaglia di Abidjan: i morti sono oltre 5.000. Ci viene offerta la possibilità di scappare e rientrare in Italia gratuitamente”. Ma Padre Dozio decide di rimanere nonostante le tantissime, comprensibili, difficoltà. Giovani armati presidiano le strade istituendo posti di blocco. Si spara e si combatte. In periferia il seminario gestito dalla sua congregazione è già stato assaltato: i sacerdoti sono stati trasferiti e i ribelli si sono impossessati di tutto. “Non volevo succedesse la stessa cosa alla mia casa”. Con pochi altri, rimane dunque nella sede regionale in uno dei quartieri in cui la stragrande maggioranza della popolazione stava con Gbagbo.Momenti di vita quotidiana in tempo di pace: a sinistra con un gruppetto di pescatori, a destra con una giovane mamma
“Il clima in quei giorni era surriscaldato” – racconta – “Quando hanno arrestato Gbagbo, in città sono comunque rimasti i suoi fedelissimi e i mercenari che aveva fatto arrivare dall’estero asserragliati in un quartiere vicino al nostro che veniva bombardato dagli elicotteri francesi. Il rumore era come quello dei fuochi della festa di Brivio. Dal primo al cinque maggio c’è stato l’attacco finale: di giorno stavamo sdraiati a terra mentre la nostra casa veniva mitragliata. Una bomba mi è anche caduta davanti mentre leggevo senza però scoppiare. Non c’erano la corrente e l’acqua. Non si poteva fare niente se non di notte quando si riusciva anche a mangiare. Il 5 maggio poi c’è stato l’ingresso dei ribelli”. Con il rovesciamento degli equilibri al potere tutto si è risolto, si potrebbe pensare. E invece no. Conquistata la città è cominciata infatti “l’epurazione” di vecchi sostenitori di Gbagbo e anche la missione di padre Dario non è stata risparmiata dai rastrellamenti. “Ci domandavano: “perché siete rimasti qui?” credendo fossimo a favore dell’ex governatore. In un solo giorno cinque diversi gruppi hanno fatto incursione nella nostra casa. Ci hanno preso tutto, anche la macchina fotografica che mi aveva regalato il Gruppo missionario di Beverate. Volevano le auto. Ne avevamo un po’ che ci avevano lasciato altri padri prima di fuggire. Alla fine gli ho dato la mia: era già conciata, avevo intenzione di venderla”. Anche quelli sono stati, dunque, i giorni dei mucchi di cadaveri per strada (“una decina ogni giorno”) con i cani e gli uccelli pronti a mangiarli e un odore indescrivibile ad accompagnarne la putrefazione. “Ma alla fine la vita riprende. Adesso la Costa d’Avorio ha bisogno, più che di interventi di aiuto economico, certo importanti, di tolleranza, di perdono e di unità”. La lotta per il potere ha infatti risvegliato tensioni etniche e creato tensione religiosa che prima non esisteva. “Il mio primo lavoro di contatto con la gente è ora quello di parlare loro di tolleranza: di torti ne hanno fatti tutti, ora è tempo di capirsi e perdonarsi”.Foto di gruppo nell'ultima parrocchia di cui è padre Dozio è stato responsabile
Quando, dunque, terminata la “vacanza briviese”, Padre Dario tornerà ad Abidjan si rimetterà subito al servizio della popolazione. Ha già in mente due progetti: l’acquisto di celle frigorifere per consentire ai pescatori di San Pedro di congelare le aragoste pescate e potersi così creare un business vendendole ad Abidjan e la realizzazione di un salone per parrucchiere per dare lavoro alle ragazze che dal villaggio si sono trasferite nella grande città. Il tutto con il sostegno degli amici briviesi che anche in questa occasione si stanno dimostrando particolarmente attenti all’operato del loro concittadino dotato, nonostante gli orrori vissuti in prima persona, di un sorriso e di una gentilezza che non possono passare inosservati.