Revocati gli arresti domiciliari al dr.Pignoli ma con il divieto di dimora sul territorio di Merate. In Aula depone il medico

Il dottor Paolo Pignoli
Il dottor Paolo Pignoli è stato rimesso in libertà. Al termine dell’udienza odierna, la quinta del procedimento penale a suo carico, il collegio giudicante presieduto dal dottor Salvatore Catalano con a latere i colleghi Maria Chiara Arrighi e Gianmarco De Vincenzi ha accolto, in vista della discussione calendarizzata per il prossimo 24 ottobre, la richiesta di revoca degli arresti domiciliari e la sostituzione del provvedimento restrittivo applicato nei confronti dell’imputato al momento del suo arresto operato lo scorso ottobre, con il divieto di dimora sul territorio di Merate. Il professionista non potrà tornare dunque a esercitare, anche per evitare il rischio di reiterazione di reato, né presso il suo studio privato di via Statale né presso il san Leopoldo Mandic (da dove comunque, al momento, risulta ancora sospeso).
La decisione, come dicevamo, è arrivata nel tardo pomeriggio al termine dell’ennesima udienza fiume, dopo una camera di consiglio protrattasi oltre la mezz’ora inizialmente preventivata dai giudici. Il collegio è stato infatti chiamato a valutare anche l’acquisizione di nuovi documenti richiesta dalla difesa (l’elenco delle prenotazioni di interventi chirurgici a firma del dottor Pignoli nella settimana successiva il 15 marzo 2012, i tabulati telefonici dell’utenza in uso a una delle accusatrici per una discrepanza circa la data della telefonata fatta da quest’ultima per insultare l’angiologo a seguito della visita “incriminata” e il diario infermieristico relativo alla degenza in ospedale della 30enne con disturbi psichici che per prima, nel 2008, lamentò le attenzioni particolari che il chirurgo le avrebbe rivolto). Dal canto suo, il pm Paolo Del Grosso, in virtù di quanto emerso la scorsa settimana, ovvero la differenza tra il trattamento da riservare alle varici di origine pelvica rispetto alle varici con genesi diversa,  ha chiesto di poter risentire in aula le pazienti già escusse per domandare loro come fossero state “curate” o, eventualmente, di acquisire la documentazione da lui prodotta, quale integrazione alle indagini, riconvocando le signore.  Il Tribunale ha però rigettato le  istanze di entrambe le parti non ritenendole necessarie alla luce di quanto già emerso dall’istruttoria dibattimentale.
Protagonista indiscusso della giornata odierna è stato il dottor Pignoli stesso. Egli è stato infatti “esaminato” sottoponendosi dunque alle domanda della pubblica accusa, della parte civile rappresentata dall’avvocato Stefano Pelizzari e dai suoi difensori, i legali Marilena Guglielmana e Ruggero Panzeri.

NON RISPONDO

Prolisso nell’argomentare circa temi prettamente medici, l’angiologo sessantenne residente a Calco, si è avvalso, indispettito, della facoltà di non rispondere, quando il magistrato titolare del fascicolo gli ha chiesto delucidazioni su un presunto scambio di sms intercorso tra lui e una paziente. “Sei una ragazza molto interessante” avrebbe scritto, a detta del pm, il medico proponendo un’incontro alla donna. “Io sono felicemente sposata” la risposta piccata di quest’ultima. 
“Nega di aver detto “come sei bella, chissà come saresti senza chemioterapia” a una paziente oncologica?” aveva chiesto poco prima il dottor Del Grosso. “Sono battute, io scherzo frequentemente” la replica. E ancora “non rispondo più su queste cose non di pertinenza con i capi d’imputazione”. 

“MI FACEVA PENA”
Scintille tra interrogante e interrogato anche in riferimento ad un controllo di un catetere urinario effettuato dal chirurgo nel 2008, controllo che avrebbe messo a disagio la paziente psichiatrica che per prima sollevò dubbi sull’operato del medico. Dinnanzi ai giudici Pignoli ha infatti raccontato con certezza di aver sollevato le coperte del letto dove la donna era stesa, per verificare se il presidio medico fosse ancora inserito o se invece era stato rimosso come aveva prescritto due giorni prima la dottoressa Carla Magni mentre durante il primo colloquio con il pm l’imputato si era limitato a affermare, in tono dubitativo, “può essere successo” senza aggiungere ulteriori elementi, raccontati invece quest’oggi con precisione. Ha invece confermato di aver donato dei trucchi alla trentenne: “Il motivo per cui ho avuto atteggiamento empatico nei suoi confronti è perché mi faceva pena” si è giustificato, specificando come, seppur la signorina fosse stata ricoverata a seguito di un grave gesto autolesionista compiuto nella comunità terapeutica presso la quale era ricoverata, non abbia mai visto al suo capezzale il padre o la madre. “Le ha detto “come sei bella”?” l’ha incalzato l’accusa. “Magari come battuta. Il mio obiettivo era che la ragazza guarisse e andasse a casa. Volevo rendere il decorso post-operatorio più veloce possibile”. Gli apprezzamenti sono così diventati “convenevoli per tirarle su il morale. Forse visto il soggetto, con la patologia che aveva, l’ha presa male”

LE VARICI

Venendo invece alle visite “sotto accusa”, ovvero quelle effettuate con sonda ecodoppler insistendo sulle parti intime di almeno tre pazienti, con fermezza, il professionista ha difeso il suo operato. “La sonda è andata su grandi labbra e clitoride?” gli è stato domandato. “Deve andare” ha ripetuto più volte l’angiologo, pungente nell’aggiungere “altrimenti ti trovi le percentuali (di patologia venosa con origine pubica ndr) del 2% come il dottor Ippolito”, evidente frecciatina al ctu del tribunale sentito in aula 7 giorni fa nel corso del “match” tra consulenti.
“Una donna  su 6 ha varici di origine pelvica” ha spiegato in un altro passaggio del suo lungo esame. “Tra le recidive, quelle  di origine pelvica sono molte molto di più” ha dichiarato precisando come per “curare” tale patologia si può procedere con un trattamento sclerosante (da lui applicato raramente in casi come questi), chirurgicamente (la via per lui più comune) o tramite la radiologia interventistica (non presente a Merate). Al Mandic poi, secondo quanto sostenuto dall’imputato, in base a una lettera inviata a tutti i chirurghi nel  1991, non era possibile, sottoporre le pazienti a accertamenti particolarmente approfonditi nella zona pubica. “Da allora non ho mai più fatto questo esame in ospedale” ha spiegato rispondendo alle domande dell’avvocato Panzeri. Nel suo studio “lo faceva di routine?” ha ribattuto il pm facendo tentennare il medico. “Non al mille per mille”. “Le pazienti hanno parlato di esami così particolareggiati solo nell’ultima visita. Perché non l’ha fatto prima?” è stato l’ultimo quesito, rimasto in parte inevaso, posto dalla pubblica accusa.

LE VISITE PRIVATE IN STUDIO
L’attenzione dell’avvocato  Stefano Pelizzari, parte civile per conto dell’Azienda Ospedaliera, si è focalizzata quasi esclusivamente sui capi d’imputazioni inerenti il presunto abuso d’ufficio compiuto dal chirurgo visitando nel suo studio privato (a volte a pagamento) pazienti che, dopo la dimissione dal reparto, avrebbe dovuto continuare a assistere gratuitamente in ospedale.
“Qualcuno le aveva detto che quello che faceva non era regolare?” ha domandato il legale. “Il 9 settembre 2012 mi venne consegnata a mano una lettera in cui mi veniva segnalato questo problema per la prima volta” motivando comunque la sua scelta di invitare le pazienti nello studio privato per poter continuare a seguirli personalmente e per sgravare “un ambulatorio già sovraccarico” definito anche “una specie di corte dei miracoli” dove nell’unico giorno di apertura, si presentavano utenti con le esigenze più disparate.
“Si faceva pagare?” ha proseguito Pelizzari sentendosi rispondere che spesso, al momento della rimozione dei punti, veniva chiesto ai clienti il saldo rispetto all’acconto parziale versato durante le visite pre-operatorie. “Pazienti contentissimi mi portavano anche il salame o la bottiglia di vino"

CARZANIGA
Rimanendo sempre nell’ambito della corretta procedura da seguire per le dimissioni e gli incontri di staff sul tema, Pignoli ha infine affermato di aver probabilmente ricevuto delle mail dal suo primario, il dottor Pierluigi Carzaniga, cancellandole però inavvertitamente insieme alle altre decine di messaggi che riceveva giornalmente all’indirizzo istituzionale fornitogli dall’Azienda ospedaliera. “Gli incontri non hanno nessuna formalità. Ce ne sono una caterba. Carzaniga di persona non mi ha detto nulla”.
“Andava d’accordo con lui?” ha chiesto il difensore Panzeri. “Avevamo un rapporto di reciproca sopportazione. Le riunioni erano spesso pietosissime, sempre, guarda caso il mercoledì quando io avevo lo studio”.

(seguono le testimonianze degli altri testi esclussi quest'oggi)




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A. M.
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